Nazarena, monaca reclusa (pt. 1)

«So quanto facile sia illudersi circa queste intuizioni. Perciò non intendo essere presa sul serio. Forse Dio non c’entra affatto con quello che dico, né ispira ciò che sento. Non mi fido assolutamente di quanto provo, anche quando credo che venga da lui. Mi fido invece di chi mi parla in suo nome.»

Non sorprende che la prima a essere cauta circa la propria eccezionale esperienza sia lei stessa, suor Maria Nazarena, al secolo Julia Crotta (Glastonbury, Connecticut, 1907 – Roma, 1990; i genitori sono piacentini emigrati), monaca camaldolese che visse reclusa in una cella del monastero romano di Sant’Antonio Abate dal 1945 alla morte. E non sorprende anche, ma per un altro motivo, che la stessa prudenza si intuisca nelle parole dell’autrice dell’ottima cura del volume, la carmelitana Emanuela Ghini, come se stesse maneggiando materiale altamente infiammabile. Quando, ad esempio, Nazarena si dilunga sulla propria fame («per almeno venti anni ho sofferto di questo tormento»), la curatrice si chiede se non fosse bulimica, per poi scartarne la possibilità. E ancora: «Davanti a un cammino penitenziale estremo qual è quello di Nazarena, può sorgere il sospetto di atteggiamenti psichici non normali di genere masochistico», un’esperienza «anzi umanamente folle» che però è illuminata da quello che la monaca ha lasciato scritto e che non dà adito a dubbi circa il suo pieno equilibrio psicologico: Nazarena «volle vivere totalmente nascosta non certo per difficoltà umane di rapporto».

Gli scritti che gettano un po’ di luce sono undici note di carattere autobiografico, il Regolamento (con il quale si presenta nel 1945 da Pio XII perché lo approvi), trentatré lettere delle circa cento conservate e una scelta di frasi di Giovanni della Croce e Teresa di Lisieux. Vi si legge di un’infanzia e un’adolescenza serene e ricche di esperienze. Julia studia, fa sport, fa musica, con impegno e risultati (si laurea infine in Lettere e Filosofia). È alta (più di un metro e ottanta, e infatti gioca a basket), determinata, allegra, «golosissima», forte (una «robusta costituzione» che la sosterrà nelle privazioni). La «chiamata», interiore, verso un’altra «cosa» è del 1934, «cosa» che prende la forma della solitudine, del «deserto».

Passati due anni a New York (la New York del 1935-37), entra nel Carmelo di Newport, ma ne viene respinta tre mesi dopo. Così, parte per Roma (non tornerà mai più negli Stati Uniti) dove, attraverso vari contatti, fa un primo passo verso l’Ordine camaldolese, un’esperienza che si interrompe dopo solo un anno. Nel 1939 entra nel Carmelo francese di Torpignattara, dove passa cinque anni durissimi (per motivi non chiari, probabilmente «perché non era al suo posto», dice la curatrice), che la prostrano («Ero uno scheletro ambulante»). Si riprende e il richiamo della solitudine diventa imperioso: finalmente nel 1945 entra nel monastero camaldolese sull’Aventino dove resterà fino alla fine. Nel 1947 professa i voti perpetui e assume il nome di suor Maria Nazarena. Nel 1959 ottiene una piccola cella – 5 metri per 3, con un’ancor più piccola terrazza «per respirarvi aria» – appositamente sistemata secondo i suoi intenti.

Julia Crotta ha raggiunto infine il suo «deserto», in via di Santa Sabina, 64, 00153 Roma.

(1-continua; la seconda parte è qui)

Oltre ogni limite. Nazarena monaca reclusa 1945-1990, a cura di Emanuela Ghini, Casale Monferrato, Piemme, 1993.

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